L’evasione fiscale è un grosso problema italiano. Ma che
fare se è lo stato stesso a rivestire il ruolo di cattivo pagatore?
Di Nadine Federici per Futuro Libero
L’ennesima busta contenente polvere pirica è stata recapitata
nella sede di Equitalia a Roma. La missiva sarebbe stata
scoperta nella tarda mattinata e sul posto sono intervenuti gli
artificieri della Polizia. Al momento in cui scriviamo, non vi è
stata alcuna minaccia né alcuna rivendicazione. Eppure è facile
ascrivere questo ennesimo atto terroristico a quella stessa
esasperazione che sta consumando gli italiani e, ahime!, il loro
(buon) senso civico.
Le tasse si pagano. E i crediti?
Nella puntata di Piazza Pulita del 5 gennaio 2012, il conduttore
Corrado Formigli intervista il direttore di Equitalia, Attilio Befera
il quale fa il Ponzio Pilato della situazione e ricorda che gli
strumenti di cui l’ente esattore fa uso “gli sono stati dati dal
Parlamento italiano, con una votazione unanime”. Befera poi dice
che considera l’evasione fiscale come “un furto nei confronti di
tutti noi”, perché “i quattrini che incassiamo vanno a pagare i
servizi pubblici di cui tutti quanti usufruiamo”. Giusto,
giustissimo (se non fosse che spesso gli italiani sono costretti
anche a ricorrere a servizi privati per sopperire a mancanze e
disservizi). Ma quando Formigli gli chiede se coloro che sono oggetto
di un pignoramento, di un atto di riscossione da parte di Equitalia
debbano anche loro essere trattati da ladri, Befera –con sguardo
esaltato- risponde che “Equitalia non può distinguere se non si è
pagato perché si è evaso o se non si è pagato perché si è in
difficoltà. Le imposte si devono pagare, è l’obbligo principale
della democrazia italiana”. Non è molto convincente il termine
“principale” in riferimento agli obblighi dei cittadini italiani
per mantenere sana e salva la democrazia, ma sicuramente si può
asserire che sia giusto che tutti paghino le imposte. Come può dirsi
giusto e doveroso che chi guadagna di più paghi più salato. Ma
perché, come al solito, la crisi che è per tutti, deve essere
ripagata sempre da alcuni? Perché le tasse devono essere pagate, ma
i servizi che servono allo stato e agli enti pubblici dovrebbero
essere erogati gratis? Perché Befera afferma che Equitalia
non possa distinguere fra chi evade con dolo e chi, invece, non
riesce a corrispondere poiché in difficoltà? A maggior ragione
quando anche costoro non sono in grado di pagare le gabelle per colpa
di quello stesso stato creditore di circa 70 miliardi di euro nei
confronti delle aziende.
Gli “strumenti” dati dal Parlamento
Su una cosa ha certamente ragione Attilio Befera: gli
strumenti di cui si avvale Equitalia sono dati direttamente dal
Parlamento che fino ad ora si è sincerato per una povertà continua
e duratura dei suoi cittadini. L’ultimo strumento è una
sorta di visto, di bollino di qualità: l’ultima scusa con cui
continuare a perpetrare il debito nei confronti di quelle piccole e
medie imprese senza le quali non ci sarebbe occupazione nel Belpaese.
È recente il caso dell’ennesimo imprenditore suicida. Giovanni
Schiavon, di Peraga di Vigonza, in provincia di Padova, ha impugnato
una pistola e si è sparato un colpo alla testa, lasciando solo un
drammatico biglietto: “Perdonatemi, non ce la faccio più”. Già:
Schiavon era contemporaneamente debitore e creditore dello
stato, che al contempo chiede soldi senza concessione alcuna, ma che
si prende tutto il tempo di cui ha bisogno prima di pagare le
imprese. Lo stesso stato che da gli “strumenti” a
Equitalia, una S.p.a. il cui direttore dice che le tasse vanno pagate
sempre e comunque, anche se si è in difficoltà e non si hanno i
soldi: anche se la Pubblica amministrazione a cui devi le tasse, è
creditrice nonché cattiva pagatrice. Nasce da questa idea l’adesione
della moglie vedova, Daniela Franchin, e della figlia, Flavia,
all’appello rivolto a Mario Monti firmato, tra gli altri, dai
presidenti regionali di Confindustria, Confprofessioni,
Confcommercio, Coldiretti, Federalberghi, Ance, Confartigianato e
Cgia di Mestre. Al centro della missiva, l’annosa e, finora,
irrisolvibile questione dei ritardi dei pagamenti perché esiste “un
problema urgente da affrontare subito: quello dei temi di pagamento
tra imprese e soprattutto di quelli tra la Pubblica amministrazione e
le aziende”. Perché se essere pagati a sei, otto o magari dodici
mesi è insopportabile, “ancora più insopportabile è quando i
ritardi di pagamento sono riconducibili allo stato”.
Bocciati anche dall’Europa
Non sono solo le imprese a lamentarsi. Anche l’Ue (a cui
si fa appello solo per convincere i cittadini a dover mettere mano ai
portafogli, ma assolutamente dimenticata quando questa suggerisce
maggior equità) che, tramite una Direttiva che dovrebbe
essere recepita entro il marzo 2013, chiede tempi certi di pagamento.
Soli 30 giorni in via ordinaria e –al massimo- 60 giorni in casi
eccezionali. Altrimenti si dovranno pagare interessi di mora a
partire dall’8 per cento a salire. Questo è quanto pretenderebbe
l’Unione dallo stato-italiano-cattivo-pagatore. Eppure, stando a
un’indagine effettuata lo scorso aprile dall’istituto I-Com per i
Commercialisti, nel 72 per cento dei casi la Pa non pagherebbe prima
di sei mesi, mentre il 24 per cento delle imprese subirebbe un
ritardo compreso tra uno e sei mesi. Nello studio legge che
basterebbe “che la Pa italiana decidesse di tenere neanche le
migliori prassi europee, ma quantomeno le normali prassi delle Pa
europee e del settore privato italiano”. Conclusione reale e
giusta, ma –oggettivamente- avvilente.
Perché non si pagherà mai
Eppure, se lo stato si decidesse a saldare i suoi debiti, si
troverebbe a sborsare una cifretta compresa tra i 60 e i 70 miliardi.
Non solo: c’è anche chi sostiene che -tra amministrazioni centrali
e locali- la spesa ammonterebbe addirittura quasi a 200 miliardi. Ed
è facile immaginare che i soldi dovuti, non ci siano. E allora come
si fa? La bella idea di risoluzione del problema viene da Corrado
Passera, ed è abbastanza raccapricciante. A tal proposito, infatti,
Passera annuncia la proposta, avanzata nei mesi scorsi, del pagamento
dei crediti in Bot. Il suggerimento è di cedere titoli di stato alle
imprese, ripagandole in questo modo con Btp, Bot, Cct invece che con
i soldi dovuti. I titoli di stato teoricamente potrebbero essere
utilizzati attraverso riscossione nelle banche o con la diretta
cessione ai fornitori. Un magro, magrissimo compenso utile solo alle
casse statali e non a quelle delle imprese che a questo punto si
avvantaggerebbero di uno sgravio fiscale.
Di bollini di qualità e di titoli
Eppure tanto è: lo “stato” si protegge ben bene e si trincera
dietro un’altra bella trovata. Un nuovo strumento regalato sempre a
Equitalia da Tremonti prima di andarsene. Un ottimo modo per non
dover pagare i soldi dovuti alle imprese, mentre si continuano a
chiedere loro le tasse che non riusciranno mai a pagare senza
introiti: una splendida trovata per raggirare la Direttiva europea.
La Pa, infatti non pagherà le ditte che non hanno un “visto
di Equitalia” che la stessa non rilascerà a quelle
aziende che hanno pendenze di tipo fiscale sospendendo direttamente
il saldo per servizi resi alla Pubblica amministrazione, soprattutto
–guarda caso- se questo superasse i 10 mila euro. Intanto, il
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà,
dallo studio di Porta a porta promette “nessuna pietà verso gli
evasori, spareremo ad alzo zero”.
È un cane che si morde la coda, quindi: lo stato non
paga; le imprese non hanno soldi per pagare le tasse: per Equitalia
gli imprenditori diventano dei ladri che evadono il fisco. L’Ue
impone allo stato di pagare, ma questi può non farlo se
l’impresa non è in regola con le tasse a causa dei mancati
pagamenti statali. E se l’Ue dovesse insistere, al massimo la Pa
pagherebbe con Bot e Cct invece che con denaro sonante. E
l’imprenditore, a meno che non stia sciando a Cortina, si suiciderà
(sempre che il governo non sparerà prima ad alzo zero).
(9 Gennaio 2012)
|