Prelevamenti di denaro contante alla
cassa?
Le banche introducono il biglietto
d’ingresso in agenzia
Di Mauro Novelli 2-3-2011
Alcuni anni fa, scherzando, sostenevo
che le banche avrebbero prima o poi imposto il biglietto di ingresso
in agenzia.
Ci siamo arrivati.
Per prelevare soldi contanti (i propri
soldi) dal proprio conto corrente, molte banche impongono un
“pedaggio” che va da uno a tre euro.
Le banche giustificano il pagamento di
questo biglietto di “accesso alle casse” con due motivazioni
principali: 1) l’alto costo di gestione dei contanti rispetto a
quello che dovrebbero affrontare qualora il cliente usasse il
Bancomat o altro sistema elettronico per prelevare contanti o
effettuare pagamenti, e 2) la necessità di contrastare la
criminalità organizzata e l’economia in nero che, per non lasciare
traccia, devono obbligatoriamente usare il contante.
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Costo della gestione dei contanti
Certamente la prima motivazione ha
qualche fondamento. Ma la preferenza per l’uso del contante è
caratteristica secolare dei correntisti italiani e non tendenza degli
ultimi anni. E’ vero però che il differenziale di costi con la
moneta elettronica è enorme, e questo spinge le banche a scoraggiare
fortemente l’approvvigionamento di contante tramite l’assegno
cambiato in cassa.
Abbiamo cercato di approfondire i dati
quantitativi del problema. Dalla Relazione del Governatore della
Banca d’Italia del maggio 2010, oltre a scoprire che l’uso degli
assegni come strumento di pagamento diverso dal contante è inferiore
al 10 per cento, rileviamo che bonifici e disposizioni di incasso
raggiungono il 90 per cento.
Riportiamo la tabella di Bankitalia. In
nota una curiosa informazione: il dato relativo al “peso”
dell’uso degli assegni non comprende gli assegni emessi per
l’approvvigionamento di contante. Peccato! Era il dato che poteva
interessarci maggiormente.
Le banche, quindi, stanno cercando di
scoraggiare l’uso del contante (da anni non cambiano più assegni
al beneficiario recatosi allo sportello presso cui è radicato il
conto per incassare i contanti) e cercano di imporre il passaggio
all’uso della moneta elettronica.
Sempre dalla relazione di Bankitalia
scopriamo che, nel 2009, i Bancomat attivi erano 36.663.000. Quindi,
ciascuna famiglia gestisce in media 1,4 Bancomat.
Alla stessa data, dei 33.643.000 di
carte di credito, erano attive meno della metà: 15.165.000.
Alla luce di questi dati, dobbiamo
chiederci il perché i cittadini italiani non sono così propensi ad
usare, per i pagamenti, gli strumenti elettronici a disposizione.
La risposta è facile: il titolare
della carta non è assolutamente tutelato dall’uso illegittimo di
Bancomat e carte di credito a seguito di furti, clonazioni,
smarrimenti ecc. Non sa se la sua banca è assicurata per proteggerlo
e renderlo franco da truffe. In caso di prelievi non imputabili al
titolare, costui difficilmente rientrerà in possesso delle somme
sottratte illecitamente dal suo conto.
Per questi ed altri motivi, in Italia
continuano ad essere privilegiati i pagamenti in contanti.
Ecco l’incidenza dei pagamenti con
strumenti diversi dal contante. Nella tabella di Bankitalia non è
riportato il dato del Giappone dove l’uso del contante è molto
vicino al nostro, nonostante l’immagine di paese avanzato nell’uso
della moneta elettronica. Le nostre 66 operazioni annue pro capite
(poco più di una a settimana) si confrontano con quelle dei
Finlandesi (una pro capite al giorno).
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Contrasto a riciclaggio ed
economia sommersa.
Non dedichiamo tempo a confutare questa
motivazione: davvero si ritiene che la criminalità organizzata si
faccia impressionare o sia scoraggiata dal fatto che dotarsi di
contanti in cassa sia tassato con 3 euro di gabella?
Questioni aperte.
Come viene trattato contabilmente
questo balzello?
Un direttore di agenzia, poco
professionalmente, ci ha risposto: “Se si presenta in cassa un
assegno da 100 euro, si forniscono 97 euro al titolare del conto.”
La risposta è affrettata e del tutto
campata in aria: i 3 euro che non escono dalle casse della banca
devono avere un documento giustificativo che possa imputare la somma
a Conto Economico. Quindi il titolare del conto dovrà avere 97 euro
ed un documento/quietanza di tre euro in grado di “girarlo” in
chiaro al conto economico. Si tenga conto che se al correntista nulla
viene fornito costui non sarà in grado di giustificare l’ammanco a
coloro cui deve rendere contabilmente conto (si pensi
all’amministratore di condominio che procede a serrati prelievi di
contante dal conto condominiale).
Occorre quindi pretendere la “pezza
giustificativa” del pagamento dei tre euro.
Ma i problemi non finiscono qui: se non
pago la gabella in contanti ma do indicazione al cassiere di
procedere ad un addebito in conto, mi troverò una seconda riga di
estratto conto: l’addebito dell’assegno e quello del biglietto di
ingresso alla cassa di tre euro, con conseguente addebito di una
operazione.
Un disastro.
Ma le “Autorità di controllo” non
hanno nulla da eccepire nei riguardi di questa iniziativa creativa
delle banche?
Dalla Banca d’Italia, a fine maggio,
in occasione della presentazione della Relazione del Governatore, ci
aspettiamo almeno i dati relativi al numero di assegni stilati dai
correntisti per approvvigionarsi di contante. L’assenza della
rilevazione ci farebbe pensar male.
Non credo che si tratti di incombenza
impegnativa per la ns. banca centrale, probabilmente fornitrice del
prossimo governatore di BCE.
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