Da un po' di tempo a questa parte, ho dovuto verificare che in
troppe cause, il Settore del Credito,
non contento a sufficienza di aver creato recessione suddividendo il Paese in
due classi, quattro ricchi sfondati da una parte e milioni di poveri
dall’altra, tende a manipolare anche l’interpretazione dell’art. 2946 c.c sulla
Prescrizione Ordinaria che recita:
"Salvo i casi
in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono con il decorso di
dieci anni".
Nelle cause relative ai rapporti con le Banche, l’oggetto
del contendere è, e solo è, il rapporto stesso tra la banca ed il cliente, che
deriva sempre da una contrattazione mobiliare finanziaria a tempo determinato o
indeterminato, certamente con una data di inizio, individuabile nella data di
stipulazione, ed una eventuale data finale, normalmente individuabile nella data
dell’ultima prestazione obbligatoria pattuita in contratto.
Nei Mutui e nei
Finanziamenti il periodo di obbligazione di una parte nei confronti dell’altra,
decorre dalla data di stipulazione del negozio, e si conclude con l’ultima
scadenza prevista per il rimborso finale, mentre nelle Aperture di Credito o
Affidamenti in genere, decorre sempre a partire dalla data di stipulazione del
negozio, ma si conclude con la data entro la quale deve “rientrare”, ovvero,
nel caso di tempo indeterminato, “a revoca” dell’affidamento.
Pertanto i dieci anni per la prescrizione del diritto a
pretendere la revisione del rapporto decorrono dalla data dell’ultima
prestazione prevista dal negozio contrattuale ovvero con l’estinzione del
rapporto contrattuale, e l’oggetto del contendere è l’oggetto del negozio, se
non anche il negozio stesso.
Poi, l’art. 2943 c.c sulla interruzione della prescrizione da
parte del titolare del diritto, recita:
"La prescrizione è interrotta
dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di
cognizione, ovvero conservativo o esecutivo.
E’ pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio.
L’interruzione si verifica anche se il giudice adito è incompetente.
[omissis]"
L’art. 2945 c.c sugli Effetti e
Durata dell’Interruzione, inoltre recita:
"Per
effetto della interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione.
Se l’interruzione è avvenuta mediante uno
degli atti indicati dai primi due commi dell’art. 2943, la prescrizione non
corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il
giudizio.
Se il processo si estingue, rimane fermo
l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data
dell’atto interruttivo.
Nel caso di arbitrato la prescrizione non corre dal
momento della notificazione dell’atto contenente la domanda di arbitrato sino
al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è impugnabile o passa
in giudicato la sentenza resa sull’impugnazione."
Ma l’oggetto del contendere resta
sempre e comunque l’oggetto del negozio, se non anche il negozio stesso, che
tratta sia la concessione di un prestito di capitale da parte del soggetto A a
favore del soggetto B, sia il rimborso di detto prestito, a determinate
condizioni, ovverosia il rispetto integrale da parte di B di ogni obbligazione
derivante dai patti contrattuali.
Pertanto la decorrenza della prescrizione inizia, come
anche ribadito in altri articoli del Libro VI del c.c. sulla
tutela dei diritti, a partire dalla data
di estinzione di tutte le obbligazioni oggetto del contratto.
Furbescamente, il Settore del Credito sostiene invece la
tesi che
la decorrenza della prescrizione inizi a partire dalla data di ogni
singolo adempimento parziale nell’arco della durata del rimborso, così come se
ciascuno di questi facesse parte di un cumulo di prestazioni indipendenti l’una
dall’altra, e non invece collegate fra loro dall’unico impegno di B di
restituire ad A tutto il capitale prestatogli, per cui di fatto è come se
pretendesse che il periodo di prescrizione venga calcolato a ritroso a partire
dalla domanda giudiziale e niente più, solo allo scopo di limitare i rimborsi
ingenti che potrebbe esser costretto a riversare a controparte.
Ma il Settore del Credito, quando è invece attore in causa,
sta bene attento a fare quadrare i propri conti sulla base di esposizioni
debitorie risalenti a ben oltre 10 anni prima, ma quando il debitore reagisce
affermando di non riconoscere il debito e magari dimostrando pure di essere in
credito, allora scatta la tesi limitativa a ritroso, che per il settore è
comunque fondata sul presupposto che 10 anni prima il debito del Cliente
ammontava a quello indicato da esso all’epoca, e cioè basato su scritture
contabili precedenti.
Bravi sono quei Giudici che impongono ai CTU che nella
eventualità che la Banca non fornisca dimostrazione documentale di come sia
giunta a calcolare il debito così come preteso ( infatti le banche tendono a fornire le copie degli estratti Conto solo
fino a 10 anni prima e nulla più), provvedano a considerare un saldo iniziale
zero in caso di situazione iniziale debitoria, ovvero il saldo attivo indicato
dal Cliente nella sua dimostrazione documentale.
Gravi ed equivoche
quanto preoccupanti tutte quelle asserzioni di personaggi altisonanti ed
altitonanti, che dichiarano vigere in dottrina due indirizzi diversi e contrastanti,
in quanto, come già spiegato prima, è proprio il Settore che predica e fa
predicare una falsa e tendenziosa tesi, ma la razzola , nel contempo, più che
male, giacché per primo non la rispetta al solo scopo di fare lievitare le
proprie pretese.
Ed ora, come le banche non regalano niente a nessuno, perché
il Cliente dovrebbe regalare qualcosa alle banche?
Ma anche questo argomento rientra sempre nel discorso
dell’ingerenza dittatoriale, su stampo medievale, del Settore del Credito e di
tutti i suoi adepti nella vita del Paese, ove
ai cittadini, già considerati bestie da soma e limoni da spremere, non
resta altro ruolo quali elettori, che
quello di vestire di democraticità la Repubblica.
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